Un lunedì pomeriggio qualunque. O forse no.
Il Servizio di Pronto Intervento Sociale, come sempre vigile e operativo, era in attività quando ricevetti una chiamata inaspettata. Prima l’assessore, poi il commissariato di polizia: una donna tunisina, insieme ai suoi due bambini, si trovava a Cefalù. Erano in fuga, senza documenti, senza un posto dove andare.
Dopo un primo colloquio con il dirigente e il personale del commissariato, che richiedono un alloggio temporaneo con l’intenzione di farla rientrare nel CAS di Pavia, si attiva subito il tam tam organizzativo: bisogna trovare un B&B disponibile, un operatore che accompagni la famiglia, e un pasto caldo per quei tre volti stanchi. Mentre tutto si muove intorno, inizio il colloquio con la donna. Bastano pochi minuti per capire che, dietro quello sguardo spaventato, c’è molto più di una semplice fuga.
Mi racconta, con voce rotta e occhi pieni di terrore, il lungo viaggio intrapreso per sfuggire a una vita fatta di violenze. Il compagno, padre dei suoi figli, li aveva resi prigionieri di un incubo. Mi mostra immagini sconvolgenti: ferite, lividi, cicatrici non solo sul corpo, ma anche nell’anima. Mi si stringe il cuore.
La situazione si fa più chiara. Contatto immediatamente la Prefettura di Palermo. Scopro che la donna era destinata a rientrare a Pavia, dove era già inserita nel circuito di accoglienza straordinaria. Ma lei teme che il marito, attualmente in Germania, possa raggiungerla anche lì. Tornare significherebbe esporsi nuovamente al pericolo. A Pavia vive anche la figlia maggiore, che ha scelto di restare col fidanzato, e questo rende ancora più concreto il rischio di essere rintracciata.
A quel punto è evidente: non si tratta solo di accoglienza, ma di una vera e propria urgenza di protezione. Grazie all’articolo 18 bis, attiviamo un percorso speciale per vittime di violenza. La donna e i suoi bambini vengono inseriti in una struttura protetta, dove finalmente potranno iniziare a ricostruire la loro vita, lontano dalla paura.
Quando ricevo la conferma dell’inserimento, glielo comunico. Lei mi guarda, con le lacrime agli occhi, e mi stringe le mani. Poi, con un filo di voce e un sorriso appena accennato, mi dice:
“Merci du fond du cœur. Je n’oublierai jamais votre aide et votre gentillesse pour le reste de ma vie. Vous êtes une femme trop gentille et tu fais de grands efforts pour nous. Merci beaucoup.”
In quel momento capisco che, anche solo per un istante, sono riuscita davvero a fare la differenza.
Vorrei che questa storia aiutasse a far conoscere una realtà spesso invisibile ma fondamentale: il Pronto Intervento Sociale.
Tutti conoscono il pronto soccorso ospedaliero, sanno a chi rivolgersi in caso di emergenza sanitaria. Ma non tutti sanno che esiste anche un “pronto soccorso sociale”, pensato per intervenire quando l’urgenza riguarda la sfera personale, familiare, abitativa o di protezione.
In questi momenti critici interviene l’assistente sociale del Pronto Intervento, una figura professionale specializzata in emergenze sociali, capace di rispondere tempestivamente a situazioni drammatiche come fughe, violenze, abbandoni, gravi marginalità.
È importante far sapere alle persone che possono fidarsi di noi, che possono contattarci nei momenti più bui. Così come ci si affida a un bravo medico nei momenti di emergenza fisica, allo stesso modo ci si può affidare a un bravo assistente sociale nei momenti di emergenza esistenziale.
Tra i canali che promuovono e raccontano questo lavoro, un ruolo fondamentale è svolto da CONASP ODV, che dà voce agli operatori, valorizza le esperienze, promuove la conoscenza dei servizi di Pronto Intervento Sociale (PIS o PRINS) e contribuisce a diffondere una nuova cultura dell’aiuto.
Perché ogni storia come quella di Cefalù ci ricorda che anche il dolore più nascosto può trovare ascolto. E ogni persona in fuga merita una possibilità per ricominciare.
Carolina Migliorino, Assistente sociale